Per essere felici, bisogna pur lavorare
La disoccupazione giovanile è uno dei grandi problemi irrisolti. Andando ad esaminare in maniera approfondita la categoria che più desta preoccupazione, ovvero quella dei giovani laureati, si evince che la problematica non è prettamente, o comunque unicamente, legata alla mancanza di opportunità professionali.
Se si confronta infatti il numero dei laureati per categoria e il mondo del lavoro, si registrano dei dati al limite del paradosso: migliaia di dottori non vengono assorbiti dalle società e, al contempo, il mondo del lavoro è alla ricerca di giovani laureati che risultano introvabili.
I neo-laureati in materie umanistiche, psicologiche e biologiche, difficilmente riescono anche solo ad avvicinarsi a uno stage. Al contrario, i laureati nei settori sanitario, ingegneristico e economico-statistico, sono ancora inferiori rispetto alle richieste delle aziende e del mercato del lavoro.
Il problema coinvolge quindi non solo i giovani laureati, ma impatta anche su quella che è la capacità di sviluppo delle aziende e sul sistema universitario. Lo stato spende infatti milioni per formare i laureati. Lasciarli emigrare o, ancor peggio, lasciarli inoccupati, ha un impatto economico non indifferente, che ha del paradossale se pensiamo alle posizioni vacanti.
Ci sono infatti casi come quelli di Microsoft, Bonfiglioli e tutto il settore legato all’automazione industriale che faticano, o addirittura hanno rinunciato, a rintracciare giovani da far crescere all’interno dell’azienda. Per non parlare nel settore sanitario del rischio Gran Bretagna, che è costretta ad importare dall’estero ormai da anni questa tipologia di professionisti.
Come risolvere questa situazione? Utilizzare metodi quale l’istituzione di nuove ristrettezze, come il numero chiuso, o, viceversa, favorire anche economicamente i ragazzi che si approcciano a facoltà che hanno reali sbocchi professionali, non può risolvere completamente il problema, senza garantire ai giovani nuovi e reali percorsi di orientamento, anche con la partecipazione delle aziende.
Quello che sicuramente manca infatti è una piena consapevolezza delle scelte. Bisogna abbandonare il binomio del “se studi quello che ti piace, avrai successo e sarai felice”. Perché per essere felici, bisogna avere delle prospettive professionali. O, quantomeno, che ogni scelta sia accompagnata dalla piena consapevolezza delle difficoltà o delle possibilità post-laurea.
Nessuno vuole ovviamente obbligare i neo-diplomati a scegliere qualcosa che non è fra le loro corde. Accompagniamo però lo studente nelle scelte, diciamogli quali realmente sono le professioni che si possono approcciare dopo gli studi e quali sono le prospettive occupazionali. Perché se a ingegneria preferisce comunque psicologia, la scelta sia davvero consapevole.