Le aziende valutano il talento in maniera corretta e imparziale?
Restano una serie di bias e pregiudizi difficili da eliminare nella fase di valutazione del talento delle figure da inserire nell’organizzazione
Se ne parla da tanto, ed è di ricorrente attualità, ma il tema dell’inclusione non è ancora presente in maniera significativa e strutturata nell’ambito dei percorsi di selezione del personale, sia nelle piccole che nelle organizzazioni di medie e grandi dimensioni. Spesso, inoltre, le azioni che rimandano al concetto di “Diversity & Inclusion” sono legate ad azioni di marketing e di branding più che alla ricerca del valore nelle persone. Il dibattito sulle modalità di ricerca dei talenti è dunque più che mai aperto ed alimentato da interrogativi che riguardano l’effettiva correttezza delle procedure di recruitment o la capacità di sfruttare (da parte dei team HR) tutti i canali a disposizione, la convinzione (vera o presunta) che adempiere a tutti gli obblighi di legge in fatto di quote rosa o categorie protette sia sinonimo di inclusività o ancora l’effettiva capacità di individuare le corrette e reali competenze di ogni candidato.
Secondo Joelle Gallesi, Managing Director di Hunters Group, nella maggior parte dei casi la risposta a questi quesiti è quasi sempre negativa perché vi sono una serie di bias e pre-giudizi molto difficilmente eliminabili nella fase di valutazione del talento delle figure professionali da inserire nell’organizzazione. Nessuno, secondo l’analisi della società di ricerca del personale, può dichiararsi immune a pregiudizi definibili come inconsci, collegati per esempio al fatto di aver frequentato la stessa università o di avere lo stesso hobby.
Un approccio da considerare come normale, ma che in fase di selezione può portare a commettere errori di giudizio anche gravi, con conseguenti ricadute negative in termini economici (sostituire un dipendente può costare fino al 50% della sua retribuzione annua lorda tra iter di ricerca e tempi di preavviso) e di tempo che si vanno ad aggiungere (in alcuni casi) al danno reputazionale.
Un approccio da considerare come normale, ma che in fase di selezione può portare a commettere errori di giudizio anche gravi, con conseguenti ricadute negative in termini economici (sostituire un dipendente può costare fino al 50% della sua retribuzione annua lorda tra iter di ricerca e tempi di preavviso) e di tempo che si vanno ad aggiungere (in alcuni casi) al danno reputazionale.
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