Infermieri italiani in fuga all’estero
A cura di Rita Maria Stanca
Germania, Spagna, Belgio e Svizzera. Sono queste le destinazioni più ambite dagli infermieri italiani che decidono di trasferirsi all’estero per stipendi più alti e condizioni contrattuali più vantaggiose. È un fenomeno iniziato nel 2012 e che sembra non fermarsi. Le nostre università formano professionisti molto competenti che preferiscono esercitare fuori dal Belpaese. La concorrenza, però, arriva anche dalle strutture private in Italia che offrono retribuzioni decisamente più alte rispetto a quelle pubbliche. Secondo gli ultimi dati di AssoCareInformazione.it e AssoCareNews.it, circa 7mila infermieri italiani hanno scelto di vivere e lavorare lontano dall’Italia. Ma il dato ancora più impressionante è che il 55% di loro non ha alcuna intenzione di tornare in patria, il 30% è in attesa di un concorso per poter rientrare e il 15% è indeciso sul da farsi.
“Il fatto che molti infermieri – precisa Silvia Movio, Director della divisione Engineering & Manufacturing di Hunters, brand di Hunters Group – decidano, dopo aver studiato nelle nostre università, di andare a lavorare all’estero rappresenta un grande problema che, nei prossimi anni, potrebbe addirittura aggravarsi. L’emergenza sanitaria ha dato la prima dimostrazione: nei primi mesi della pandemia abbiamo visto sale operatorie chiuse per la mancanza di personale, ambulanze ferme perché senza infermieri, interi reparti con un numero troppo basso di operatori. Una situazione che dobbiamo necessariamente risolvere”.
Ma da cosa dipende la fuga dei cervelli? La prima ragione è sicuramente economica: gli infermieri italiani, infatti, percepiscono gli stipendi tra i più bassi in Europa. La loro retribuzione netta si aggira intorno ai 1.400 euro al mese che sale a circa 2.000 euro dopo molti anni in corsia e con una certa specializzazione. In Germania, nel Regno Unito o in Svezia, invece, lo stipendio medio si aggira intorno ai 2.500 euro, in Francia 1.600, in Spagna 1.700 e in Belgio 2.000. In Svizzera, infine, siamo sui 3.300 euro netti al mese anche se dobbiamo considerare che il costo della vita è decisamente molto alto.
Il secondo motivo è legato, invece, ai contratti. Solo 1 su 10 in Italia, infatti, è a tempo indeterminato e questo porta molti professionisti a cercare opportunità migliori al di fuori dei nostri confini.
La concorrenza delle cliniche private in Italia. “C’è un altro aspetto – aggiunge Silvia Movio – che dobbiamo necessariamente tenere in grande considerazione: nel nostro Paese le retribuzioni statali sono, a parità di esperienza, uguali in tutta Italia. Molti infermieri, dunque, preferiscono optare per le cliniche private che possono offrire stipendi più competitivi, soprattutto nei territori in cui il costo della vita è più elevato. Si tratta di un trend che è iniziato ancora prima della pandemia e che, credo, si confermerà anche nei prossimi mesi. Secondo i nostri dati, infatti, la richiesta di infermieri per le cliniche private sparse su tutto il territorio nazionale è cresciuta del 25%”.
Mancano, però, 63.000 infermieri: quasi 27.000 nel Nord Italia, circa 13.000 in Centro Italia e 23.000 nel Mezzogiorno. Secondo una recente analisi condotta da FNOPI, la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche, si prevede che la domanda di infermieri continuerà ad aumentare nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione, ma anche perché molti infermieri si stanno avvicinando all’età pensionabile.
C’è, però, una notizia positiva: aumentano le iscrizioni ai test d’ammissione, anche se i posti restano pochi. A quanto pare la pandemia ha inciso sulle scelte dei giovanissimi. Quella delle professioni sanitarie-infermieristiche è, infatti, la classe di laurea che nel 2020 ha visto una crescita percentuale nel numero di iscrizioni al test d’ammissione maggiore: +7,5% per infermiere e del +4,6% per infermiere pediatrico.
In questo momento le richieste sono soprattutto nell’area Ricerca Clinica/Ospedaliera. Tra le figure più ricercate troviamo il Medico Specialista con una retribuzione annua lorda di 45.000 euro fino a due anni di esperienza, 60.000 tra i tre e i cinque anni di esperienza e 100.000 oltre i cinque anni di esperienza.
Si ricercano anche Responsabili di Farmacovigilanza. Le retribuzioni sono interessanti: 40.000 euro fino a due anni di esperienza, 55.000 euro tra i tre e i cinque anni di lavoro e 70.000 euro oltre i cinque anni. Ci sono, poi, ottime opportunità anche per i Clinical Project Manager che percepiscono, in media, una RAL di 35.000 euro se sono profili junior, 45.000 se hanno tra i tre e i cinque anni di esperienza e 55.000 euro oltre i cinque anni.
Sono molto richiesti, poi, i Clinical Research Associate. Le retribuzioni, per loro, partono dai 25.000 euro lordi all’anno nei primi anni di esperienza che arrivano a 35.000 euro per i profili middle e 45.000 euro per i più senior. Chi si occupa di Farmacovigilanza, invece, percepisce una RAL di 25.000 euro nei primi due anni di esperienza lavorativa, 30.000 per chi ha dai tre ai cinque anni di esperienza e 45.000 oltre i cinque anni di esperienza.
Le cliniche ricercano anche Data Manager ed offrono una retribuzione annua lorda di circa 20.000 euro per le figure junior, 25.000 euro se si hanno fra i tre e i cinque anni di esperienza e 40.000 euro per chi ha un’esperienza superiore ai 5 anni. Non mancano, infine, occasioni per gli infermieri. Per questi professionisti gli stipendi lordi partono dai 20.000 euro e arrivano ai 40.000 per chi ha oltre cinque anni di esperienza.
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