Dimissioni volontarie: nel 2022 è boom in Europa
Considerando l’imponente fenomeno delle dimissioni volontarie viene naturale chiedersi se stiamo vivendo nell’epoca del Grande Turnover.
In tutta Europa, Italia compresa, si registra carenza di candidati che stanno acquisendo sempre maggiore libertà di scelta. Il fenomeno delle dimissioni volontarie sta, ancora una volta, ridisegnando il mercato del lavoro.
Secondo gli ultimi dati di Eurostat, il valore dei posti vacanti in Europa è pari al 3,1%. Si tratta di un record se pensiamo che nel 2021 era al 2,6% e nel 2019 al 2,2%. Tra i paesi più colpiti da questo fenomeno compaiono l’Olanda, la Germania e la Francia. Anche in Italia, però, la situazione non è poi così diversa: l’anno scorso si sono registrate circa 2,2 milioni di dimissioni, ovvero il 13,8% in più rispetto all’anno precedente.
“Ci sono”, dichiara Silvia Movio, Director di Hunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale altamente qualificato, “parecchie aziende che, negli ultimi tempi, hanno faticato ad attrarre e trattenere talenti e questo rappresenta un grosso problema. Non parliamo di offerte di lavoro fantasma, con stipendi ridicoli e zero tutele nei confronti dei lavoratori, ma di opportunità di carriera spesso davvero molto interessanti. Non dimentichiamo, infatti, che a fine 2022 il boom delle dimissioni volontarie ha toccato il suo picco massimo in Italia, Spagna e Francia. Un fenomeno che, in un modo o nell’altro, deve essere contrastato anche ripensando i modelli organizzativi”.
Dimissioni volontarie: i numeri del Grande Turnover
Secondo in dati Eurostat, il tasso di posti non coperti avrebbe raggiunto i livelli massimi in Europa. Un fenomeno che sembra destinato a non rallentare, almeno nel breve periodo e che renderebbe il mercato del lavoro sempre più dinamico e che, se gestito correttamente, sposterebbe il potere contrattuale leggermente a favore dei dipendenti che sono sempre più motivati a cambiare lavoro e a scegliere un’azienda più affine ai propri valori o un’occupazione più vicina alle loro ambizioni.
“Assistiamo”, aggiunge Silvia Movio, “ad un fenomeno oggettivo e che, indipendentemente dal nome che vogliamo dargli, sta davvero cambiando il mercato del lavoro. Non è detto, tuttavia, che questa propensione al cambiamento si tradurrà sempre anche in stipendi più alti, contratti migliori o organizzazioni più efficienti, ma è certo che le aziende dovranno, nel minor tempo possibile, soddisfare le richieste dei lavoratori che sono diventati più selettivi ed esigenti”.
I settori più dinamici in Italia
A contrasto delle dimissioni volontarie, ci sono ambiti in cui la richiesta di lavoratori è più elevata. Nel nostro paese, le maggiori opportunità si riscontrano dove la necessità di manodopera supera gli effetti delle recenti misure restrittive e dei tagli di spesa.
Ci concentriamo dunque sul settore manifatturiero dell’Industria 4.0, evoluta: Automazione – Produzione e Progettazione Elettrica di macchinari complessi ed Energia. Si ricercano, infatti, sempre più professionisti specializzati nel campo della robotica, del Machine Learning e in materia energetica. Gli ingegneri robotici si occupano di progettare, di costruire e di collaudare i robot. Si registra una richiesta del +3% rispetto al 2022 di Ingegneri del Machine Learning che vantano pluriennale esperienza nell’ambito IT e si focalizzano sullo studio di modelli predittivi e sullo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale. In futuro, temi come le reti neurali e la visione artificiale ricopriranno un ruolo sempre più cardine nella nostra società.
In aumento del 5% anche la domanda di Ingegneri Energetici ed elettrici, ovvero di coloro che si occupano di collaudare sistemi ed impianti. La loro richiesta è alquanto forte nel comparto dell’approvvigionamento energetico e nelle imprese che hanno nella produzione di energia il loro core business. Sfruttare le fonti rinnovabili, soprattutto in ottica di sostenibilità e di ottimizzazione dei consumi energetici, sarà parte integrante delle loro mansioni.
Cosa fanno le aziende per contrastare le dimissioni volontarie?
In linea generale, possiamo affermare che, per contrastare il fenomeno delle grandi dimissioni volontarie, la maggior parte delle aziende italiane si sta muovendo per apportare migliorie nel settore digitale, non solo per restare al passo coi tempi, ma anche per attirare e impiegare nuove figure professionali capaci di ottimizzare i processi in ogni fase, massimizzando così anche i risultati. I lavori digitali più gettonati del momento sono quelli più strettamente legati al mondo dell’informatica e della gestione dei dati. Tali professioni del web sono oggi assolutamente necessarie per garantire la stabilità di un sistema centralizzato alla base di siti e servizi digitali. Si tratta più nello specifico di professioni digitali che hanno a che fare con il web, con i software, reti e applicativi, mobile app, intelligenza artificiale, comunicazione, Digital Economy e Cybersecurity.
In Italia il 43% delle aziende ha introdotto il Digital Marketing Manager per raggiungere gli obiettivi di vendita grazie ai canali Social, Web e Mobile; quasi il 40% è dotato di un Chief Information Security Officer, incaricato di definire programmi per minimizzare i rischi legati all’adozione delle tecnologie digitali in termini di sicurezza dei dati e delle informazioni; oltre il 30% ha professionisti digitali come l’Enterprise Architect (gestisce l’infrastruttura IT) e il Data Engineer, il professionista che gestisce il flusso di dati. Il settore ICT, dunque, rimane un punto di forza, in Italia come in tutta Europa, sebbene la crescita della produzione su base annua sia solo dell’1,5%. Questo dato si inserisce in un contesto di due anni di forte crescita con un ulteriore previsione di miglioramento delle attività nel campo informatico che supereranno il 3% nel 2024.
Anche nel settore farmaceutico, infine, continua il trend positivo già registrato nel biennio 2021-2022, in Italia, nei Paesi Bassi, in Svezia e in Svizzera. Poiché sono considerati beni essenziali, i prodotti farmaceutici risentono meno dell’attuale cautela economica rispetto ad altri. Le strutture produttive, le catene di approvvigionamento e gli standard di produzione ben consolidati in Europa promettono, quindi, una crescita solida nel medio termine.
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