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Negli studi non c’è carewashing
Welfare o “Carewashing”?
La consapevolezza nelle azienda, dell’importanza di puntare sul benessere lavorativo dei propri dipendenti, è da tempo molto alta, e le iniziative per raggiungere questo obiettivo sono sempre più numerose: smart working, congedi parentali, formazione, benefit sanitari etc. Ma dentro a uno studio, ambiente di lavoro all’interno del quale i professionisti sono da sempre esposti allo stress della complessità dei temi da affrontare e dai tempi pressanti della consulenza o del contezioso, è davvero così facile parlare di benessere?
O non sarà che poi nella realtà, il cosiddetto welfare è solo una foglia di fico? A sollevare questo dubbio è Davide Boati, Senior Executive Director di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale.
“Il benessere dei dipendenti è diventato un tema sempre più importante per le aziende e per i lavoratori. Spesso, però, c’è un divario tra le intenzioni dei datori di lavoro (che in qualche caso, dobbiamo ammetterlo, sono solo di facciata) e le reali politiche messe in atto su questo fronte: orari flessibili, lavoro ibrido e iniziative sostenibili sono alcuni degli elementi che vengono citati come esempi di welfare ma che, nella vita professionali di tutti i giorni, in realtà non trovano applicazione. […]”
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