La Ricerca in Italia
Noi da vari anni ci occupiamo di ricercare professionisti, ingegneri, matematici, fisici, laureati in materie scientifiche con esperienza professionale già acquisita, progetti sviluppati e competenze solide acquisite nel corso di anni di esperienza professionale. Ma non esiste solo questa ricerca. Esiste anche la Ricerca Scientifica. E non è messa così male come potrebbe pensare la vulgata corrente.
Esistono poli scientifici, dipartimenti universitari, campus e politecnici, fondazioni private, joint venture tra aziende e CNR, università, fin tanto a singole collaborazioni di singoli professori con molta volontà e un manipolo di dottorandi e post dottorati che ancora si dedicano, in un ecosistema scarso di riconoscimenti economici e di carriera, a questa frontiera tra oggi e il futuro.
E i risultati non sono privi di soddisfazioni. Pubblicazioni sulle principali riviste internazionali, rigorosamente anglosassoni, finanziamenti dalla comunità europea, fondi da grandi aziende americane e orientali. Brevetti, idee, prototipi, invenzioni, tecnologie. Un rivolo vivo di preziose scoperte. Nuovi materiali. Possibili infinite applicazioni pratiche. Ne citiamo una fra le tante: il problema oggi dell’informatica, che richiede sempre maggiori capacità di calcolo e di storage, sta nel raffreddamento dei microprocessori sempre più miniaturizzati e “densi” di circuiti. La soluzione? Lasciare all’elettronica la parte di calcolo e spostare sui circuiti fotonici il trasporto dell’informazione, del segnale, il famoso bit, uno o zero. La luce non scalda come l’elettrone quando attraversa la materia. Soluzione studiata e indagata costantemente dai nostri Politecnici e Università.
E allora vi chiederete? Ecco l’allora sta che questa conoscenza di punta, d’eccellenza mondiale, semplicemente non può essere assorbita dal tessuto industriale nazionale. Bisogna ammetterlo: siamo tecnologicamente un paese non all’avanguardia. Addirittura arretrato per certi versi. Con tanti smartphone e poca connessione a banda larga! Paradosso che ben illustra la condizione attuale. Quindi che accade? Semplice. Questi cervelli vengono preparati o si preparano per emigrare; chi attorno ai trent’anni, dopo una laurea, un dottorato di ricerca e qualche anno di ricerca universitaria, decide che vuol continuare la strada nel privato non può che collocare la sua ricerca di impiego nella Ricerca all’estero.
Si occorre dirlo chiaramente perché tale è la situazione: si usano, magari pochi e male allocati, fondi pubblici, soldi dell’intera comunità, per preparare futuri ricercatori che saranno impiegati, magari nel periodo di massimo rendimento, tra i 35 e i 45 anni di età, da altre nazioni.
Regno Unito, Stati Uniti, Germania. Ma non solo.
C’è tuttavia una speranza in fondo. Che tra dieci anni qualcuno di questi emigranti di alto livello decida di ritornare, magari portando con sé dieci anni di esperienza sul campo, trovando un sistema più accogliente di quello attuale. E fondando una serie di nuove startup rivoluzionarie.