Jobs act: Job?
Ed eccoci qua a dire la nostra su un quesito molto di trend al momento e dalla risposta non univoca; il Jobs Act ha smosso qualcosa nelle placide acque del mercato del lavoro italiano? Innanzi tutto occorre considerarlo unitamente alla finanziaria 2015 che assegna una decontribuzione sino a 8.060€ per tre anni ai contratti “stabilizzati” nel 2016 (se sono stati non-stabili nei sei mesi precedenti). In sintesi viene assegnato un bonus fiscale non indifferente alle aziende per trasformare contratti a tempo determinato e/o a progetto in contratti a tempo indeterminato (dal sette marzo anche a tutele crescenti). E siccome pecunia non olet questo de facto è un grosso incentivo per le aziende a trasformare un contratto precario in uno non precario, ma anche no, e meno costoso come costo azienda.
Inoltre, diciamolo francamente, oggi il nuovo contratto a tutele crescenti è interrompibile molto più facilmente rispetto il vecchio contratto a tempo indeterminato, ancora in vigore per chi lo ha, e questo contribuisce a superare una barriera, spesso psicologica, nella stipula o trasformazione dei contratti nel nuovo contratto a tutele crescenti.
Certo la nostra esperienza quotidiana, e il buon senso, ci mostrano che se un’azienda non ha progetti di espansione, di lancio di nuovi prodotti, di conquista di nuovi mercati, di riorganizzazione per dotarsi di un assetto più moderno, non vi è incentivo che la possa costringere ad aumentare gli organici. Così, banalmente, se esportazioni e mercato interno non aumentano la domanda di prodotti, merci e servizi difficilmente si sigleranno nuovi contratti di lavoro.
Ma cosa dicono i numeri? ISTAT e INPS certificano che i rapporti di lavoro attivati nei primi due mesi del 2015 sono stati 968.883, verso i 968.870 nei primi due mesi del 2014: appena 13 in più!
Cosa è successo? Sempre nei primi due mesi del 2015 sono stati attivati, tra nuovi e “trasformati”, 403.386 contratti a tempo indeterminato (+ 12,3% rispetto al medesimo periodo del 2014), mentre contratti a tempo determinato e di apprendistato sono scesi del 7% e del 11,3% rispettivamente: vi è stata pertanto una “migrazione” da contratti a tempo determinato e contratti di apprendistato verso il contratto a tempo indeterminato con un aumento totale di 13, praticamente zero nuova occupazione è stata creata, ma molta è stata riqualificata o incentivata dal bonus fiscale di 8.060€ per tre anni.
Facendo un’inferenza, questo fenomeno “migratorio”, spinto dall’incentivo fiscale, verso i contratti a tempo indeterminato si accentuerà da marzo in poi, in quanto l’approdo sarà non più il vecchio contratto a tempo indeterminato ma il nuovo a tutele crescenti, più comodo da rescindere e psicologicamente più digeribile a molte PMI. Attendiamo i numeri di ISTAT e INPS per averne prova.
C’è un aspetto peculiare che non ci convinceva e non ci convince e rischia di creare un’ingessatura del mercato del lavoro: la coesistenza di due tipologie di contratti a tempo indeterminato, il vecchio per chi lavora oggi in aziende con più di 15 dipendenti e il nuovo contratto a tutele crescenti in vigore dal 7 marzo 2015.
Non si sorprendano i nostri colleghi e i direttori del personale se, per l’assunzione di candidati che portano in dote il vecchio contratto a tempo indeterminato, oppure che siano impiegati in aziende con più di 15 dipendenti, si troveranno ad affrontare una difficoltà in più in fase di trattativa, oltre alla sempre verde richiesta di “nuove prospettive”.
Meglio sarebbe stato avere un contratto a tempo indeterminato uguale per tutti; ma forse l’ottimo è nemico del buono.