Desidero crescere professionalmente
«Desidero crescere professionalmente». Ci capita spesso – in fase conclusiva di un colloquio -, quando chiediamo ai nostri candidati quali sono le loro esigenze e quali le richieste, qual è il motivo che li spinge a conoscere una nuova opportunità e quali sono le ragioni che li motivano a cambiare lavoro, che la risposta sia legata, nella maggior parte dei casi, al desiderio di entrare in contatto con realtà aziendali che prospettino alle nuove risorse un percorso di carriera strutturato, insomma che permettano loro di crescere professionalmente.
Andando contro la tendenza/credenza generale, possiamo senza dubbio affermare che, la principale spinta motivazionale non è meramente legata al desiderio di percepire una retribuzione più “interessante”.
È innegabile che la retribuzione sia un aspetto importantissimo e direttamente proporzionale alle competenze e/o all’anzianità lavorativa di un candidato, ma non l’unico, perché è altrettanto indubbio che nessun professionista davvero competente nutra il desiderio di ricevere un compenso non adeguato a quelle che sono le mansioni e le responsabilità del ruolo ricoperto.
Entriamo, sempre più frequentemente, in contatto con candidati che trovano il loro principale stimolo a valutare il mercato del lavoro nel desiderio di abbracciare progetti nuovi, di impegnarsi in attività e di assumere incarichi ricchi di responsabilità. Per questo motivo, se da un lato, è possibile che un candidato sia orientato a valutare una nuova opportunità lavorativa presso un’azienda che, pur non potendo garantire un increase significativo, gli assicura l’inserimento in un ruolo stimolante e di rilievo; dall’altro è molto difficile si verifichi il caso contrario.
Da queste riflessioni risulta evidente che l’idea e la possibilità di seguire un nuovo progetto, di sviluppare un settore sconosciuto, di definire in autonomia il proprio piano di lavoro e di creare il proprio team, di viaggiare, di conseguire certificazioni estremamente qualificanti, motiva le risorse più di un superminimo, che premia il lavoro in quanto merce e non l’individuo con le sue aspirazioni, aspettative e bisogno di autorealizzazione.